"Gli Appennini sono per me un pezzo meraviglioso del creato. Alla grande pianura della regione padana segue una catena di monti che si eleva dal basso per chiudere verso sud il continente tra due mari (....) è un così bizzarro groviglio di pareti montuose a ridosso l'una dall'altra; spesso non si può nemmeno distinguere in che direzione scorre l'acqua."
J. W. Goethe, Viaggio in Italia (1786 - 1788)
Storia sull'Appennino Tosco - Emiliano.
Scritti di Claudio Evangelisti


Titolo: L’ANTICO MESTIERE DEL CORDAIO (2012-10-30)



L’ANTICO MESTIERE DEL CORDAIO
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Il Cordaio detto anche Canapino o Gargiolaro era addetto alla lavorazione della fibra di canapa. Già nel 1500 nella provincia bolognese era largamente diffusa la coltivazione e lavorazione della canapa e Bologna era la città che in Italia, ritraeva i guadagni maggiori dai nuovi commerci oceanici. Le sue fibre infatti permettevano di produrre tessuti e di realizzare cordami e vele che venivano importati dalla repubblica di Venezia per l’allestimento dei velieri. Arricchiti assicurando tele e cordami alle marinerie inglesi e olandesi, i patrizi bolognesi, non si fecero certo pregare quando Napoleone chiese e ottenne la fornitura per la sua marina imperiale e fu così che la produzione bolognese arrivò a toccare le 4.860 tonnellate, apice toccato nel corso del Settecento, come attesta Filippo Re, segretario della napoleonica Società agraria del Reno. Fu così che la canapa fece la fortuna dei signorotti bolognesi a spese dei tanti mezzadri che si spaccavano la schiena per un tozzo di pane, dato che la lavorazione consisteva in una fatica immane. La coltura era concentrata in Emilia Romagna, che con 390.000 quintali realizza il 53,5 % della produzione nazionale e le città di Bologna insieme a Ferrara e Modena, si spartivano la fetta più grossa. Quello del Cordaio era una vera e propria arte che fu regolamentata dalla città di Bologna nell’ Onorata Compagnia dei Gargiolari attorno al 1600.

Dallo statuto dei Gargiolari:
“Nissuno Gargiolaro sì di Città, che del Contado possa esercitare questo Mestiere in Casa e nascostamente per eludere la vigilanza del Governo; ma debba esercitarlo in Bottega, o Casa con Cartello indicante il Lavoro, e sempre patenti alle visite dell' Arte, sotto pena della perdita di tutte le Canepe, e Gargioli che gli fossero ritrovati, e della multa di trenta Scudi”
Per lavorare la corda, era innanzitutto necessario che il Cordaio avesse a disposizione una certa quantità di canapa. Già nella metà del settecento il parroco di Roncastaldo nella valle del Lognola, esortò i suoi parrocchiani a non esportare l’ottima canapa dei dintorni, in quanto sarebbe dovuta servire al solo fabbisogno della piccola vallata. Questa pianta, una volta raggiunta la maturazione, veniva tagliata, legata a fasci e consegnata al cordaio. La canapa veniva portata presso corsi d'acqua e lasciata macerare. Quando si era ammorbidita veniva battuta con forza. Era poi messa ad asciugare dietro i pagliai e passata al "canapino", attrezzo formato da tanti aghi metallici che serviva a pettinarla.
La canapa era così trasformata in fili sottilissimi. I fili venivano uniti e si otteneva così un filo di corda più grosso e compatto che si passava alla "grande ruota". Al centro di questa, su di un lato, veniva fatta girare una manovella da ragazzi in età scolare, mentre sull'altro lato venivano applicate le forme. Si faceva quindi girare la ruota e la corda veniva allungata lungo un sentiero. All'estremità, un ragazzino teneva il capo della corda con un uncino e si allontanava dalla ruota man mano che si formava una treccia. La corda era quindi arrotolata e pronta per essere venduta. La grande qualità della canapa italiana non riesce però ad evitare ed avviare quel processo di meccanizzazione tanto auspicato. Verso la metà del 1900, pochi anni dopo la seconda guerra mondiale la coltivazione della Canapa cessò quasi completamente.