"Gli Appennini sono per me un pezzo meraviglioso del creato. Alla grande pianura della regione padana segue una catena di monti che si eleva dal basso per chiudere verso sud il continente tra due mari (....) è un così bizzarro groviglio di pareti montuose a ridosso l'una dall'altra; spesso non si può nemmeno distinguere in che direzione scorre l'acqua."
J. W. Goethe, Viaggio in Italia (1786 - 1788)
Storia sull'Appennino Tosco - Emiliano.
Scritti di Claudio Evangelisti


Titolo: LINEA GOTICA 1944 (2012-12-23)



APPENNINO 1944

IL SOLDATO BURZI,UN MONTANARO DECORATO DAGLI U.S.A.

Virgilio Burzi nasce nel 1928 a Pian del Voglio, là dove il feudo del conte bolognese Ranuzzi de Bianchi confina con la Toscana. Nel 1944 l’allora sedicenne Burzi che durante la seconda guerra mondiale costruiva bunker e fossati anticarro per l’organizzazione tedesca Todt, fu l’unico volontario dell’Appennino bolognese ad indossare con onore la divisa dei famosi Red Bulls americani. Il 26 settembre del 1944 mentre la 34° divisione americana del generale Bolte cercava di sfondare la linea gotica, la 1^ compagnia del 168° reggimento di fanteria americana Red Bull arrivò alla Calcinaia di Pian del Voglio subito dopo aver conquistato Bruscoli, nel vano tentativo di arrivare a Bologna prima dell’inverno. Il 168° reggimento che era salpato da Brooklin nel gennaio del 1942, si distingueva per il caratteristico toro rosso dipinto sull’elmetto e molti di loro erano di origine italiana . Proprio uno di questi soldati si mise a chiedere informazioni al giovane manovale che conosceva molto bene le linee di difesa tedesche. Questo fante americano si chiamava Albert Buleo era un’italo americano di Brooklin e tra i due ragazzi nacque subito un’istintiva simpatia. Albert chiese a Virgilio dove erano appostati i tedeschi e si sentì rispondere dal ragazzo che non solo glielo avrebbe indicato ma che era disponibile ad andare con loro. I fanti americani acconsentirono, fecero indossare al ragazzo un cappotto grigioverde italiano e si incamminarono alla conquista del santuario di Monte Armato, dove dal campanile della chiesa, una squadra tedesca batteva con la mitragliatrice tutta la zona circostante. Una volta arrivati a Montefredente, il giovane “scout” montanaro venne subito armato di fucile “Garand”, gli fu consegnata una bandoliera con 10 caricatori da 5 colpi l’uno e gli affidarono l’incarico di aiuto mitragliere; alle tre di notte ci fu l’adunata e il plotone venne schierato alle pendici del santuario pronto a scattare in avanti per coprire i trecento metri allo scoperto che li separavano dal presidio tedesco. All’alba il tenente americano della 1° compagnia Red Bull suonò l’attacco con il fischietto come i fanti sull’Isonzo nella prima guerra mondiale e la mitraglia tedesca cominciò a seminare morti e feriti ovunque: Quello scontro fu il mio battesimo del fuoco-racconta Burzi- ricordo bene che la mitraglia tedesca alternava raffiche con pallottole normali a quelle con proiettili traccianti e proprio un tracciante uccise un mio compagno a pochi metri da me! Due fischi sancirono la ritirata e dopo altri due attacchi senza esito e almeno una trentina di Red Bulls uccisi, il tenente pensò bene di risolvere la pericolosa situazione all’americana: inviò le coordinate all’artiglieria che distrusse la chiesa lasciando il campanile con la metà verticale ancora in piedi, ma poco dopo arrivò un carro armato americano che con il suo cannoncino da 88 rase al suolo il campanile: Quando avanzai verso i resti della chiesa vidi i cinque difensori tedeschi morti sotto i calcinacci, i tedeschi si erano battuti valorosamente fino all’ultimo. Il giorno dopo Virgilio partecipò ad un altro combattimento per liberare il borgo di Qualto dai tedeschi e lì fece amicizia con il commilitone Hermann Ghilbert un tipaccio di origine tedesca che ce l’aveva a morte con i nazisti per il fatto che i suoi genitori scappati dalla Germania e arrivati in U.S.A. erano stati mandati in un campo di concentramento dagli americani perché nativi tedeschi: Ma non sarebbe stato più logico avercela con gli americani? -dice Burzi- vallo a capire…. E che il biondo americano di madre lingua tedesca non avesse tutte le rotelle a posto lo si comprese meglio il giorno in cui Burzi catturò 7 tedeschi dopo una pattugliata notturna in val di Zena: quando Ghilbert vide sfilare davanti a lui i tedeschi prigionieri con le mani alzate, si mise a sparare da una finestra uccidendone 5 a sangue freddo; il crucco americano rischiò la corte marziale ma in seguito venne messo a tacere l’accaduto. Burzi fu anche testimone della strage di Marzabotto allorquando il suo reggimento si stabilì nel castello della Polverara a Rioveggio. Dall’altra parte del fiume Setta c’erano i tedeschi che tutti i giorni salutavano gli americani con le raffiche di una mitraglia installata su un carrello ferroviario che tirava delle sventagliate con proiettili da 20 mm tra una galleria all’altra.Ecco cosa racconta BUrzi: Una mattina, proveniente dall’altra parte del Setta, si presentò un civile che era stato ferito da una baionettata alla coscia e ci urlò di accorrere dall’altra parte del fiume verso la zona di Gardeletta dove diceva che c’era stato un massacro di civili. Il nostro comandante ci ordinò di andare di pattuglia e così scoprimmo che alla Quercia sulla strada che porta a Monte Sole, attorno a una casa c’erano almeno 60 persone uccise dai nazifascisti! Prima di rientrare alla base Burzi ebbe anche il tempo di soccorrere un partigiano della brigata Stella Rossa nei dintorni di Casaglia, si chiamava Galli ed era stato ferito alla pancia dai tedeschi. Anche lui come Vox Populi dixit dichiarò che il mitico comandante Mario Musolesi detto Lupo non fu ucciso dai tedeschi, ma che venne eliminato nel corso di un litigio con i suoi subalterni che preferivano ritirarsi senza combattere mentre il “Lupo” che era nativo della zona, voleva proteggere la popolazione dal rastrellamento che sfociò nel famigerato eccidio di Marzabotto. Tra la fine di ottobre e l’inizio di novembre 1944, dopo che Burzi fu ferito da una scheggia di granata a Monte delle Formiche, il comando americano decise di tutelare il giovane montanaro di Pian del Voglio arruolandolo come soldato dell’esercito americano a tutti gli effetti. Ricondotto in prima linea, il 14 novembre subì una seconda grave ferita in Val di Zena, quando un proiettile tedesco di rimbalzo lo colpì al petto e le costole fermarono la palla a due centimetri dal cuore. L’esercito americano per ogni ferita riconosceva 5 dollari al mese in più di paga cosicché con l’aggiunta di 10 dollari per le due ferite, lo stipendio mensile ammontava alla considerevole cifra di 110 dollari al mese, una fortuna! Nel frattempo dopo aver sloggiato la brigata partigiana Stella Rossa e ucciso tutti i civili della zona, i tedeschi fortificarono Monte Sole e da lì non si passava. Il 15 aprile del 1945 dopo la pausa invernale invocata dal generale Alexander, riprende l’avanzata alleata che sferra l’attacco decisivo a Monte Sole: è l’offensiva finale che porterà gli alleati a Bologna. Quella domenica pomeriggio Virgilio Burzi è bloccato dal fuoco nemico fra i ruderi di Casaglia e da lì vede ondate ininterrotte di bombardieri inglesi che per due ore dalle 13 alle 15 lasciano cadere bombe al fosforo, ma invece di colpire i tedeschi, le bombe incendiarie rotolano nel versante occupato sopratutto dagli uomini della Sesta Armata sudafricana facendo una strage: parecchi fanti americani e tantissimi sudafricani vengono così orrendamente uccisi e ora riposano nel cimitero di Castiglione dei Pepoli. A ricordo di quel triste giorno i fanti del 168° reggimento Red Bull apposero un nastrino nero sulla divisa. Il 16 aprile Monte Sole venne conquistata dai Sudafricani ed infine il 20 aprile 1945, quando i tedeschi si ritirarono da Bologna, Virgilio Burzi entrò in città dalla parte di San Ruffillo alla testa delle truppe alleate che dilagavano dalla s.s. Futa mentre i polacchi entravano dalla via Emilia a San Lazzaro. Il 21 aprile 1945 Bologna era finalmente libera!
FINE PRIMA PARTE.

Claudio Evangelisti