"Gli Appennini sono per me un pezzo meraviglioso del creato. Alla grande pianura della regione padana segue una catena di monti che si eleva dal basso per chiudere verso sud il continente tra due mari (....) è un così bizzarro groviglio di pareti montuose a ridosso l'una dall'altra; spesso non si può nemmeno distinguere in che direzione scorre l'acqua."
J. W. Goethe, Viaggio in Italia (1786 - 1788)
Storia sull'Appennino Tosco - Emiliano.
Scritti di Claudio Evangelisti


Titolo: I BALLI MONTANARI NELLE VALLI BOLOGNESI (2013-01-22)



I Balli Montanari nelle valli bolognesi

Tra i borghi delle nostre valli, tutte le occasioni erano buone per trasformare un’aia in una grande pista da ballo o in un grande coro che fino a tarda notte echeggiava contro le montagne. Questo genere di divertimento era molto diffuso nell’Appennino Tosco Emiliano e secondo l’Ungarelli
questa passione dei valligiani per il ballo, pare farsi risalire alla pigiatura dell’uva e alla battitura del grano in epoca pagana. Già nel medioevo, la chiesa del tempo tramite i suo confessori cristiani proibiva tali manifestazioni pagane che richiamavano le antiche usanze celtiche a cui le danze religiose appartenevano. Infatti, il popolo amava celebrare le sue feste con balli che richiamano gli antichi baccanali svolti vicino a sorgenti e alberi ritenuti sacri dagli antichi Drudi, allo scopo di propiziarsi i favori degli dei in occasione della semina e della raccolta delle messi. La ricercatrice bolognese Anna Maria Pericolini afferma che i confessori del tempo possedevano “penitenziari” con indicazioni pratiche sulla penitenza da infliggere al peccatore e tra queste si chiedeva esplicitamente al popolano se avesse ballato all’ombra di quelle verdi cattedrali o dove sorgeva l’acqua dei torrenti. Nelle nostre zone i primi documenti che fanno riferimento al ballo portano la data del 1266 e “descrivono brigate di giovani che per tutto il medioevo giravano in occasione delle festività” specialmente per il Calendimaggio che ha la funzione propiziatoria di cantare strofe beneauguranti in cambio di doni. E’ in pratica un rito con questua che celebra l’arrivo della primavera dove, in cambio di uova, vino, cibo o dolci, i maggianti cantano strofe benauguranti agli abitanti delle case che visitano. Per questo motivo l’associazione più attiva in questo campo si chiama E bene Venga Maggio. Fondata il 17 dicembre 1994 a Monghidoro dall’ineguagliabile divulgatrice contemporanea Placida Staro detta Dina, l’associazione si propone di valorizzare la cultura montanara e già nel 1982 era riuscita a costituire un gruppo di ballerini e suonatori con l’aiuto della fervida memoria di Maria Grillini un monumento umano della tradizione orale. Nei primi anni dopo l’unità d’Italia tutti i paesi avevano una loro banda musicale. La banda era composta da molti elementi e rappresentava una vera istituzione voluta dal Comune. Durante le veglie invernali nelle stalle o nei balli sull’aia invece suonava solo il “concertino” praticamente una banda ristretta a pochi elementi che suonavano il ballo liscio e ovviamente i balli montanari. Grazie a “Dina” Staro, oggi la danza montanara è ancora in uso attivamente nella Valle del Savena. Fino agli anni '70 era parte della vita pubblica comunitaria anche in Val di Sambro, Setta, Reno e Idice dove ora si ricorda solo sporadicamente. I balli montanari vengono chiamati Balli Staccati (bal stàch) ma è una denominazione "di comodo" del ballo montanaro dell'Appennino Bolognese. In montagna viene semplicemente detto bàl antìc oppure chiamato in ogni località con il nome del ballo più amato. I balli avvenivano in cerchio chiuso o aperto (tresca) tramite gesti pantomimici legati al lavoro o all’atto sessuale. Nella valle del Savena tra queste danze costruite sulla figura magica del cerchio con chiari accenti rituali propiziatori, è ancora in voga il Ballo del Caprone. Questo ballo di carnevale consiste in una formula magica per i riti di fidanzamento, collegato alla prova di virilità dell’uomo è connesso ai rituali di fertilità, dove chi faceva i salti più alti otteneva il raccolto migliore: per l’uomo sono previsti battiti di mano a tempo sotto le gambe che alternativamente si sollevano più in alto possibile mentre la donna esegue due normali tonde in cerchio. La Pericolini afferma che le posizioni del ballo staccato equivalgono a quelle sancite dalla società montanara che permetteva all’uomo comportamenti e gesti non ammessi per le donne. In questa specialissima categoria di ballerini con particolari doti atletiche e di resistenza, eccelle il bolognese Daniele Marchi che a quasi 60 anni si permette evoluzioni che lasciano di stucco gli spettatori. Uomo dalla “narvadùra dòppia” ed incline ai valori arcaici come lo sport che pratica, il signor Marchi è anche un’esperto atleta di Lotta Greco Romana e partecipa ancora ai Campionati Mondiali Master di lotta con ottimi risultati. Altro ballo pantomimico con richiami sessuali è il Dentro e Fora con 2 coppie di partecipanti dove una ballerina dietro al suo cavaliere fronteggia l’altra coppia mentre le parole del canto fanno così:


“Dentr’e fòra
dentr’e fòra
u j era un frè
ch’al baseva ‘na sora.”
(dentro e fuori dentro e fuori, c’era un frate che baciava una suora)
Naturalmente, tornando a temi meno faceti, occorre non essere tratti in inganno dalle righe fin qui scritti sui pochi momenti in cui i montanari avevano l’occasione di divertirsi, perché per tutti vigeva la regola di lavorare “da bur a bur” (da buio a buio) e le rare occasioni in cui i ragazzi potevano incontrarsi, erano durante le veglie quando si trecciava la paglia o per le feste comandate come Carnevale o il santo Patrono. Se la maggior parte dei balli staccati hanno chiari riferimenti alle melodie irlandesi e scozzesi, Il Ballo del morto (Bal dei Barabein) fa parte dei riti di resurrezioni tipici dell’Ungheria e del sud est Germanico: Tre donne ballano attorno ad un uomo immobile, steso a terra come morto, quando il “morto” viene tirato in posizione seduta è il segnale che i suonatori aspettano per eseguire la tresca finale che il resuscitato ballerà con una delle donne.
La Prima strofa del canto a ballo:
“Ei Barabein l’è mort
su fija l’è la crida
e ch’la n’ha gnenc un sold
da cumperei la zira”
ritornello:
“la lalla larala”
(Il vecchio è morto, sua figlia piange, perché non ha nemmeno un soldo da comprargli i ceri.)
Di questo ballo Melchiade Benni con il suo violino ne fu un grande interprete. Nel 1972 Melchiade Benni classe 1902 (detto Malchiò d’la Val) fu “scoperto” da uno studioso di tradizioni popolari, Stefano Cammelli, e da quel momento, Melchiade Benni fu protagonista di vari iniziative sia in Italia che all'estero. A 90 anni prima di morire confidò a Placida Staro: “certo, questa musica piaceva ai festival, nei teatri perché era strana, ma non sarebbe mai diventata di moda, perché chi non sente la terra, i suoi tempi, il suo ritmo, non può capirla”. La sua contemporanea Maria Grillini, durante le veglie ballate usava gridare: “Che non venga mai giorno!”
I gruppi musicali tradizionali che suonano i balli staccati si possono vedere e ascoltare durante le rassegne estive dei Borghi in festa e nelle ricorrenze invernali organizzate soprattutto nella Valle del Savena. I gruppi più famosi sono: I suonatori della Valle del Savena con Placida Staro, La Violina di Anna Maria Pericolini che di recente ha pubblicato il libro: All’Inizio Fu La Danza edito da Savena Setta Sambro e dal quale ho attinto molte notizie, Il Gruppo Emiliano di Paolo Giacomoni e più a valle all’inizio della Romagna suona La Carampana con Stefano Dall’Omo.
A chiosa della presentazione sul libro della Pericolini, lo storico Adriano Simoncini annota: “gli anziani dicono che i balli ora sono giusti, ma “loro” li ballavano in maniera diversa”.

Claudio Evangelisti