"Gli Appennini sono per me un pezzo meraviglioso del creato. Alla grande pianura della regione padana segue una catena di monti che si eleva dal basso per chiudere verso sud il continente tra due mari (....) è un così bizzarro groviglio di pareti montuose a ridosso l'una dall'altra; spesso non si può nemmeno distinguere in che direzione scorre l'acqua."
J. W. Goethe, Viaggio in Italia (1786 - 1788)
Storia sull'Appennino Tosco - Emiliano.
Scritti di Claudio Evangelisti


Titolo: E LA SAMPIRA DISSE VINCERAI IL GIRO D'ITALIA (2013-10-24)



E LA SAMPIRA DISSE: VINCERAI IL GIRO D’ITALIA!
La famosa Santona di Rastignano e l’eroico ciclista “Fonso” da Vergato sono i protagonisti di questo avvincente episodio che narra la storica impresa di Alfonso Calzolari in quel memorabile Giro d’Italia del 1914, il più duro di tutti. Quando gli organizzatori decisero di disputare l’ultimo Giro d’Italia prima della grande guerra, si era in piena epoca eroica del ciclismo e corridori celebrati come Costante Girardengo e altri assi, contendevano fama e onori ad eroi dimenticati come il nostro Alfonso Calzolari. Contro ogni pronostico una “santona” bolognese - la Sampira - aveva consegnato a “Fonso”, una profezia incredibile: “Vincerai il Giro d’Italia, ma prima dovrai patire molte sofferenze e correrai grandi rischi...”. Come aveva predetto la veggente trionfò a sorpresa il bolognese Alfonso Calzolari, nonostante gli agguati, le intimidazioni e le scorrettezze di avversari senza scrupoli: a tanto aveva portato la feroce concorrenza fra le aziende produttrici di biciclette. Tutte le avversità subite dal ciclista della Stucchi negli anni precedenti avevano contribuito a forgiare il suo carattere e ad aumentare le ambizioni di un atleta ormai guardato a vista dai più celebrati campioni del pedale dell'epoca. I suoi paesani lo consideravano “un’uomo dalla narvadura dòppia” ed infatti i cronisti sportivi dell’epoca, ammirati da quella maschera di fango che lo ricopriva dopo le tappe più combattute lo ribattezzarono con un soprannome leggendario: “fascio di nervi”. Nella primavera del 1914 poco prima di partire per Milano dove l’attendeva il 6° Giro Ciclistico d’Italia, Calzolari avvertì sinistri presagi e forse capì di essere stato vittima di un malocchio al quale poteva porre rimedio solo se si fosse recato a visitare la famosa Santona di Rastignano. Poche settimane prima, il 5 aprile quando prese parte alla volata sotto il traguardo della Milano-Sanremo, avrebbe potuto vincere se non fosse stato danneggiato da una delle auto del seguito. E fu così che controvoglia e su sollecitazione di un amico, il ciclista si recò a Rastignano in pellegrinaggio dalla Sampìra, la quale non chiedeva denaro, ma era costume lasciare ugualmente un'offerta. Chissà in che maniera la Santona riuscì a toglierli il malocchio e impartirgli la giusta profezia: forse si limitò a pronunciare per tre volte una breve formula di benedizione dopo aver tracciato per tre volte col mignolo destro una croce sull’acqua del piatto usato per verificare se c’era il malocchio. Come svela il cronista locale Romano Colombazzi, la Strega (Strìa in bolognese) si chiamava Giulia Carati (nata Zuffi) e abitava all’Osteria del Pero di Rastignano. Depositaria di un sapere antico, toccò l’apice della sua fama negli anni Cinquanta e ancora oggi quando si tratta di curare il fuoco sacro o mali per i quali non si trova rimedio si usa ancora dire “va bàn dla Sampìra!” Nata sulle colline di Montecalvo nel 1875 dove un tempo sorgeva una chiesa dedicata a S. Pietro, deve il suo nome d'arte a questa località. Guaritrice dedita al culto del “Sendà” tanto caro allo storico Fabrizio Simoncini, era diventata un patrimonio della medicina alternativa locale, tollerata dai preti e addirittura consigliata dai medici che non sapevano più a quale santo rivolgersi. Fatto sta che dopo essere stato avvertito dei grandi rischi che avrebbe corso, Calzolari si ritrovò a Milano alla mezzanotte del 24 maggio 1914 davanti al nastro di partenza del 6° Giro Ciclistico d'Italia: otto tappe intervallate ognuna da un giorno di riposo, con chilometraggi da forzati della bici, salite sterrate, strade impercorribili ed in più il maltempo, che già al via di Milano si presentò con saette, lampi e pioggia torrenziale, da vera e propria notte degli orrori, ad accompagnare costantemente la marcia degli 81 audaci corridori che, vestiti come dei minatori e con tanto di lampade accese fissate sui berretti o lampadine in tasca, dovevano percorrere frazioni di 400 km che duravano circa 20 ore consecutive. Ed in questo sesto Giro d'Italia ne accaddero davvero di tutti i colori, roba da imbastire un film giallo: tormente di neve, cartelli con segnalazioni errate che portarono Calzolari all'interno di una villa dall'aspetto sinistro a notte fonda; cadute causate da spilloni che tranciarono di netto la "pneumatica" della ruota della sua bicicletta, in piena gara, maneggiati da oscuri alleati del suo accanito rivale milanese Giuseppe Azzini che risulterà poi disperso dopo l’incredibile tappa Bari-L’Aquila; lo stesso Azzini verrà ritrovato soltanto il giorno successivo in un casolare di campagna con la febbre alta e sospettato di aver fatto uso di qualche “bomba” dagli effetti per lui devastanti. Ma come se non bastasse, due sconcertanti episodi rendono epica e misteriosa proprio quella sesta tappa Bari-L’Aquila: un sinistro individuo dal volto coperto, fa visita a Calzolari in albergo a Bari, alla fine della quinta tappa, e gli offre quindicimila lire per arrivare secondo al Giro, una proposta sdegnosamente rifiutata dallo sbalordito portacolori della Stucchi ed infine, il misfatto più grande col tentato omicidio ai danni del ciclista bolognese: una macchina da corsa, rossa, con conducente e passeggeri forniti di baffi e barbe finte, prima cerca di convincere Calzolari a farsi trainare e quindi, dopo il suo rifiuto, tenta di travolgere il campione vergatese, provocandone la caduta rovinosa dentro ad un fosso pieno di melma dal quale si salvò solo grazie al provvidenziale aiuto del generoso Clemente Canepari che evitò al bolognese di scomparire nel fango. Al termine della tappa alla giuria giunse un reclamo contro Calzolari e Canepari rei di essersi fatti aiutare, per un breve tratto, da una automobile. A seguito del fattaccio relativo alla misteriosa auto rossa, il portacolori della Stucchi fu ritenuto colpevole di traino e penalizzato di tre ore nella classifica generale. Un'ingiustizia che poteva privarlo del successo finale nel Giro d'Italia. Ma intanto la giuria lasciava a Fonso, il titolo di capoclassifica provvisorio del Giro in attesa di indagini più approfondite. Alla fine Calzolari trionfò a Milano davanti a 10.000 spettatori, indossando ininterrottamente la maglia rosa dalla partenza all’arrivo, registrando un vantaggio di 1.55'26" su Pierino Albini e di 2.04'23" su Luigi Lucotti. I contorni leggendari di quel Giro si evincono da queste serie di record che ancora oggi resistono: degli 81 partenti solo otto furono in grado di raggiungere il traguardo conclusivo di Milano, per la percentuale-record del 90% di ritirati. Fu il Giro con la lunghezza media delle tappe più alta, col maggior distacco tra il primo ed il secondo classificato nella graduatoria finale, con il tempo di percorrenza di tappa più alto, con la tappa vinta con il maggior distacco inflitto al secondo classificato ed anche quello in cui si verificò la fuga solitaria più lunga. Al suo rientro a Bologna Calzolari, venne accolto come un eroe e venne portato in trionfo nella centralissima via dell'Indipendenza. Dopo alcuni mesi di accese discussioni, da parte degli organi di giustizia sportiva, la vittoria del bolognese venne finalmente confermata ed Emilio Colombo ebbe a scrivere su "Lo Sport Illustrato" che la giustizia ed il buon senso avevano trionfato. Nel 1915 scoppiò la Prima Guerra Mondiale e Alfonso Calzolari venne arruolato in Fanteria; terminata la parentesi bellica provò a tornare protagonista al Giro d'Italia: nel 1919 finì secondo nelle prime due tappe (Trento e Trieste) ma poco dopo fu costretto al ritiro. Nel 1921 con le forze ormai al lumicino dichiarò forfait al Giro d’Italia proprio a Bologna, nella terza tappa di quella corsa che lo aveva reso famoso. Nel 1924 arrivò l’addio definitivo al ciclismo agonistico.
Nel 1975 venne nominato Cavaliere all’Ordine della Repubblica Italiana per i suoi meriti sportivi e civili. Il 3 febbraio 1983 a 96 anni compiuti “Fonso” è deceduto serenamente a Ceriale in provincia di Savona dove si era ritirato. E la Sampìra? La santona di Rastignano morì dove visse, nel 1958 e
viene ancora ricordata per l'estrema riservatezza; usciva raramente per andare a fare la spesa; le si riconoscevano doti eccezionali, inspiegabili ed una bravura indiscussa. " Brisa cràddar ch'ai sia, mo brisa cràddar ch'an i sia": non credere che esista, ma non credere neanche che non esista.

Claudio Evangelisti