"Gli Appennini sono per me un pezzo meraviglioso del creato. Alla grande pianura della regione padana segue una catena di monti che si eleva dal basso per chiudere verso sud il continente tra due mari (....) è un così bizzarro groviglio di pareti montuose a ridosso l'una dall'altra; spesso non si può nemmeno distinguere in che direzione scorre l'acqua."
J. W. Goethe, Viaggio in Italia (1786 - 1788)
Storia sull'Appennino Tosco - Emiliano.
Scritti di Claudio Evangelisti


Titolo: 1944 La guerra vista da Gigino (2013-11-08)



A fine Maggio del “44 la brigata partigiana Stella Rossa era nella zona di Luminasio dove ora c’è il ripetitore e Palmieri Luigi detto Gigino vide il mitico comandante Lupo che girava a cavallo davanti ai suoi uomini. I ragazzi della Stella Rossa erano tutti molto giovani, montanari “duri” che avevano già sostenuto e vinto parecchi scontri contro i nazifascisti: erano per la maggioranza nativi delle vallate tra il Savena e il Reno e combattevano per la loro gente. Erano freschi reduci dalla vittoriosa battaglia del 28 maggio svoltasi tra Sasso e Vado dove dopo 15 ore di combattimento i tedeschi furono inseguiti dai partigiani fino al ponte della direttissima lasciando sul campo parecchi morti e feriti. Le circostanze sulla tragica fine di Mario Musolesi detto il Lupo non sono ancora chiare e probabilmente mai lo saranno. La sua uccisione avvenuta durante l’accerchiamento di Monte Sole e la conseguente strage di Marzabotto sono ancora contraddittorie. Le ultime informazioni pubblicate dal Resto del Carlino raccontano che fu ucciso a raffiche di mitra in uno scontro individuale da un portaordini tedesco lungo un sentiero nei pressi di Cadotto ma a questa tesi non credette nel 1951 la corte d’assise di Bologna, né tantomeno il fratello Guido e la sorella Bruna Musolesi. Il Lupo fu rinvenuto (un anno dopo la morte) in una posizione dalla quale i tedeschi non sarebbero riusciti a far giungere i loro proiettili. Se i tedeschi, che non trovarono mai il corpo del famoso comandante partigiano, fossero riusciti ad eliminarlo, avrebbero dato grande risalto alla notizia ed inoltre il capo partigiano Nino Benni ammise che fu colpito mortalmente da una fucilata mentre usciva da una finestra di Cadotto: ma sparata da chi? E’ voce di popolo quella che afferma che il Lupo fu ucciso da qualcuno della sua banda per impossessarsi della cassa con i soldi che il Musolesi avrebbe voluto distribuire alla popolazione affamata. Sarebbe giunto finalmente il momento di svelare e dare voce a chi sa come si svolsero davvero i fatti invece di portarsi certi segreti nella tomba, in nome di una retorica che a distanza di 70 anni lascia il tempo che trova. Ma torniamo ai ricordi di Luigi Palmieri: Il 24 giugno nel giorno di San Giovanni, in località Ronca di Monte San Pietro, Gigino vide arrivare dalla parte del fiume Lavino, una colonna di tedeschi in cerca dei partigiani nascosti nei boschi della Borra e allo stesso tempo vide una formazione della Stella Rossa uscire dai loro nascondigli dileguandosi in cima alla collina. I tedeschi non li videro fuggire e si appostarono con la mitragliatrice puntandola in direzione del rifugio partigiano appena abbandonato aprendo il fuoco, ma il risultato fu solo un gran mucchio di polvere e terra sollevata con i rami spezzati che cadevano dappertutto. In seguito, al Cavalazzo, l’8 ottobre del 1944, si svolse la celebre battaglia di Rasiglio tra la 63° brigata Garibaldi Bolero e i tedeschi: i partigiani furono sorpresi dentro la casa colonica in fondo alla valle e vennero colpiti mentre si buttavano giù dal fienile con le armi in pugno. Due tedeschi furono uccisi mentre 12 fra partigiani e civili vennero colpiti a morte. Alcuni riuscirono ad aprirsi un varco e scappare nei boschi come il comandante Corrado Masetti detto “Bolero” mentre i 13 partigiani catturati tra cui alcuni russi, furono dapprima torturati e poi appesi al tristemente noto cavalcavia di Casalecchio.
Gigino racconta anche quando fu sorpreso dai tedeschi durante un rastrellamento:<<Nell’ottobre del 1944 ci fu il rastrellamento delle mucche e io mi trovavo insieme ad un mio amico in mezzo al bosco della Borra, quando ad un tratto lungo il sentiero vidi un tedesco che da circa 30 metri di distanza mi puntò una pistola addosso e mi intimò “komm komm!” io e l’altro che era con me non ci pensammo due volte ci buttammo giù per il fosso sottostante mentre “al tòdàsch” ci tirava addosso, ma da quella distanza col cavolo che ci prendeva! Subito dopo arrivarono di corsa altri suoi camerati armati di fucile che ci presero di mira, così io e il mio amico ci dividemmo facendo perdere le nostre tracce. Stetti per circa 3 ore dentro una pozza d’acqua e quando scese la sera mi portai in una delle grotte che scavavo per rifugiarmi dai bombardamenti. Per fortuna ritrovai il mio amico che l’aveva scampata bella anche lui ma mi disse che un’altro nostro vicino di casa era stato ucciso, mentre fuggiva, da una fucilata tedesca tirata da oltre 200 metri di distanza.>>
Racconta ancora Gigino che di quelle grotte lui e i suoi familiari ne avevano scavate parecchie con dei zappetti, ma che ogni volta che pioveva crollavano ed erano sempre da rifare. <<Quando il 17 aprile del’45 ci fu lo sfondamento degli americani, la zona fu cannoneggiata palmo a palmo e quel giorno in una di quelle piccole grotte dove in tre si stava stretti e con i piedi fuori, i miei familiari e i vicini si buttarono dentro scavando con i zappetti e a mani nude, tanto che riuscimmo a starci in 15! Quando arrivarono gli americani a liberarci, piazzarono un cannone nel cortile di casa mia sparando verso Bologna. Di fianco al cannone che sparava si formò un grande cumulo di luccicanti e grande bossoli di cannone che a fine guerra riuscimmo a vendere a un commerciante della zona>>. Palmieri Luigi detto Gigino classe 1926 è il “nonnino” steso sul letto e accudito da Greta, la bimba protagonista del bellissimo film “L’uomo che verrà” di Giorgio Diritti.

Claudio Evangelisti