"Gli Appennini sono per me un pezzo meraviglioso del creato. Alla grande pianura della regione padana segue una catena di monti che si eleva dal basso per chiudere verso sud il continente tra due mari (....) è un così bizzarro groviglio di pareti montuose a ridosso l'una dall'altra; spesso non si può nemmeno distinguere in che direzione scorre l'acqua."
J. W. Goethe, Viaggio in Italia (1786 - 1788)
Storia sull'Appennino Tosco - Emiliano.
Scritti di Claudio Evangelisti


Titolo: 2° parte il Mulino Mazzone (2013-03-17)



2° parte Mulino Mazzone

La signora Maria Sazzini racconta anche un’antica “fola” che girava a proposito del confinante mulino del Comune: <<una sera al mulino,durante una festa entrò un bellissimo ragazzo avvolto in una “caparela” e ballò con tutte le donne presenti in un vorticoso giro di gighe montanare e danze del caprone senza stancarsi mai; ad un certo punto una donna scoprì che il bel giovanotto al posto delle scarpe aveva i piedi caprini come quelli del Diavolo! Vistosi scoperto, il Diavolo compì uno straordinario balzo fuori dalla finestra e da allora le imposte di quella finestra non si sono più riuscite a chiudere!” Di questi racconti ve ne sono a bizzeffe lungo tutta la valle del Savena e l’unico ed inimitabile “folaio” è il noto scrittore Adriano Simoncini oscar Mondadori per i suoi racconti sull’Appennino bolognese. Ma tornando all’ultimo mugnaio Antonio Galli, è curioso sapere come a quei tempi ci si divertiva con poco; tutti gli uomini quando avevano 2 soldi da spendere se ne andavano nelle numerosissime osterie della vallata a bere vino e giocare a carte. I valligiani raccontano di quando negli anni ‘60 si andava a “far baracca” giù al mulino di Mazzone: “si stava lì per due o tre giorni e a volte anche di più, a bere e fare a botte! C’erano personaggi molto noti della zona che raggiungevano il mulino a piedi con il buio pesto della notte e lo usavano come ritrovo abituale. E’ arcinota la mania del Galli di non lavarsi mai il bicchiere per paura che sapesse d’acqua; si prendeva da bere dal suo bottiglione di “rosso” da 2 litri poi si discuteva, si faceva a pugni perché uno voleva aver ragione sull’altro, ci si addormentava con la faccia sul tavolo e poi alla mattina si mangiavano delle cipolle a morsi per far passare la balla e si riprendeva a far baracca!”. Franchino di Cà di Cò detto Schiappina, racconta anche la leggenda della fontana del piccolo borgo sotto Monghidoro: << c’era uno che affermava di vedere un vitello tutto d’oro vicino alla fontana che lo fissava immobile…ma sarà stata la “debolezza”>> dice sorridendo. Nel 1800 il mulino di Mazzone venne ceduto dalla famiglia Lorenzini a Ireneo Galli, la cui figlia Albertina sposò Emilio Sazzini. Uno dei figli di Emilio, Don Ubaldo Sazzini perì nel 1944 sulla Linea Gotica per lo scoppio di una mina nel tentativo di soccorrere un suo parrocchiano, mentre l’altro figlio Ferdinando Sazzini che si fece tre anni in Albania e fu fatto prigioniero dai tedeschi dopo l’armistizio, tornò a casa solo nel 1946. Ferdinando Sazzini è ancora al suo posto di comando vivo e vegeto, accudito dalle sue tre figlie Maria, Gabriella e Chiara in quel di Piamaggio: tempra montanara!
Claudio Evangelisti